domenica 4 aprile 2010

BLOG TERMINATO

Questo blog termina qui. Grazie a tutti quelli che hanno contribuito!
Potete continuare a seguire le nostre iniziative su http://www.actaconsulting.it/ e su http://conparolesue.jimdo.com/

lunedì 25 maggio 2009

42 Eart

Una nuova rivista che parla di comunicazione e ambiente. Il suo nome, eart cerca il gioco di parole tra heart/cuore ed earth/terra: il rapporto intimo che ci lega al nostro pianeta. La sua scelta è quella di diffondersi in pdf per diffondere la cultura del “no-print” per risparmiare carta e inchiostro.
Mi piace particolarmente l’idea di porre tutti i testi al fondo della rivista ed in sequenza continua, riducendovi al minimo gli elementi grafici: questo per pensare anche a chi, per esigenze personali, professionali o di salute non può fare a meno di stampare.
Potete trovarla in www.assaica.org oppure in www.mccassi.net

mercoledì 13 maggio 2009

41 Identità

Inizio oggi un breve percorso sulla questione dell’identità. Ecco una sintesi:
In primo luogo: identità individuale o identità collettiva?
E se alla fine la distinzione scolora, si aprono altre domande.
Identità di gruppo fondata sui valori comuni o sull’identificazione in un leader?
Identità per appartenenza a un gruppo o a molti gruppi?
Ma una domanda su tutte: sulla base di quale criterio propendere per una riposta o un’altra?
Io penso che questo criterio sia “la libertà ottenuta con la pace”.

lunedì 11 maggio 2009

40 Barzellette

Scrive Maurizio Ferraris sul suo libro “Il tunnel delle multe” (Einaudi, 2008) che “la differenza tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si riassume nel fatto che sul primo non si sono mai raccontate barzellette, che invece fioccano sul secondo, e fin dall’inizio del pontificato”. Il primo era talmente benevolo e sopra le parti che nessuna barzelletta poteva veramente attecchire su di lui. Si potrebbe tracciare la stesa differenza tra Prodi e Berlusconi. Più un personaggio è malevolo e pericoloso, più attecchiscono le barzellette. Ma allora la barzelletta rischia di essere un metodo per rincuorarsi nella dominazione? Un depotenziamento della nostra incazzatura, incanalata in una bonaria risata? Anche YouTube funziona in questo modo. Se un giorno un uomo politico dice una bestialità (e poi magari il giorno dopo nega di averla detta, come fa spesso Berlusconi), quasi in tempo reale compaiono su YouTube i video che li ritraggono mentre dicono le frasi incriminate. Ma sembra che questo non muova più l’indignazione, semplicemente un’indulgente risata, come dire: toh, guarda questo buontempone.

martedì 28 aprile 2009

39 Amori d’ufficio

Secondo un’indagine del 2008 di Vault (http://www.vault.com/surveys/), circa il 46% dei lavoratori dipendenti in USA è stato coinvolto almeno una volta in una storia sentimentale in azienda. E il 13% sarebbe ben disponibile ad esserlo. Il 50% ha lavorato almeno per una volta con colleghi che tra di loro avevano una relazione in ufficio.
Cominciamo a dire che se la cosa non avviene tra pari grado o tra consenzienti la faccenda sborda facilmente nel plagio, nella molestia, al limite nella violenza. E che, essendoci tra questi casi quelli di chi è sposato, in parte le storie di cui stiamo sono storie adulterine (il 48% risponde di essere a conoscenza di almeno una storia clandestina in ufficio). Infine occorrerebbe distinguere le storie d’amore da quelle “solo sesso”, le storie lunghe da quelle “una botta e via”, ecc.
Ma dedichiamoci ai casi in cui non sia rilevante nessun aspetto negativo. Il fenomeno è legato ai nuovi stili sociali. L’aumento dei singles, prima di tutto. Ce ne sono di più nella forza lavoro (in USA sono aumentati del 22% in dieci anni), e quelli di età tra i 25 e i 35 anni lavorano sempre di più, passano più ore in ufficio (8% in più dal 1970 a oggi). Per questo, non hanno molte altre occasioni per cercare e magari trovare l’anima gemella! Come dice Mark J. Penn (http://www.microtrending.com/), il lavoro è diventato il single-bar del ventunesimo secolo.
I comportamenti di uomini e donne sono diversi. Come c’era da aspettarsi, ci sono più uomini che flirtano al lavoro che donne. Questo significa che una parte delle donne subisce avances che non gradisce. Ma anche che una parte di queste storie è omosessuale. Anche questa è un’altra dinamica sociale che sta dietro a questi dati.
Infine, non è da sottovalutare il processo di emancipazione della donna, che la porta ad avere ruoli di maggiore importanza nel lavoro e più attivi e meno inibiti nella ricerca dell’anima gemella.
E le aziende, cosa ne pensano? Una posizione tradizionale era quella di scoraggiare e non accettare questo fenomeno. Ma di recente molte direzioni delle Risorse umane ha cominciato a pensare, o a riconoscere, che avere innamorati (che poi spesso si sposano) nella stessa azienda può essere un fattore aggregativo, un elemento che aumenta il senso di fedeltà all’azienda. Forse è ora di costruire vere e proprie politiche riguardanti gli “amori d’ufficio”.

giovedì 2 aprile 2009

38 Buona vecchia scrittura


Messaggerie, social networks, forum, blog. La maggior parte dei grandi fenomeni sociali di oggi (rimangono fuori solo i “broadcast yourself” come YouTube) hanno in comune una cosa: la scrittura. La scrittura sembrava morta con la multimedialità, e invece torna potentemente in auge. Può essere immagazzinata, copiata, spedita, trasferendo una mole enorme di informazioni. La cosa sorprendente è che questa funzione così moderna è svolta da un metodo comunicativo che è più vecchio delle piramidi.

venerdì 20 marzo 2009

37 Superare la crisi cooperando

Sul Guardian il 5 gennaio 2009 Charlie Brooker (http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2009/jan/05/ch) afferma che l’unico modo per passare attraverso la crisi del 2009 è quello di riapprendere a voler bene e a condividere (“we're going to have to co-operate with one another if we're going to get through this”).
Sull’importanza della cooperazione dice qualcosa di interessante Pierluigi Celli, Direttore della Luiss in un’intervista pubblicata sul Corriere della Sera del 15.01.2009. Celli dice che è finita l’era degli squali: ora il successo passa per l’altruismo, la fiducia reciproca, la collaborazione. Naturalmente, occorre mettere in discussione cosa si intende per successo, e se esso sia ancora, dopo la crisi che stiamo vivendo, quel mito che proprio gli squali hanno contribuito a creare. Ma non c’è dubbio che, come dice Celli, la crisi dei mercati è una crisi di fiducia, “e la fiducia dipende dalla cooperazione (…) per questo credo che dalla crisi non si esce solo per via numerica, cioè tagliando, che è una strategia a breve termine, ma anche attraverso comportamenti cooperativi”.

lunedì 23 febbraio 2009

36 Lo zero saliente


Un altro gioco sulla cooperazione o meno tra persone è raccontato in modo efficace da F. Guala e M. Motterlini sulla Domenica de Il Sole 24 Ore del 16 ott. 05. Riporto parte del loro articolo e consiglio la lettura del loro libro “Economia cognitiva e sperimentale” (http://www.libreriauniversitaria.it):
“Sul foglio sono segnati dieci numeri, in ordine crescente da zero a nove. In un'altra stanza il tuo compagno di gioco si trova di fronte alla stessa sequenza. Entrambi avete la possibilità di scegliere un numero; se scegliete lo stesso, entrambi vincete dieci euro; se scegliete due numeri diversi non vincete nulla. Un gioco difficile in teoria, ma facile in pratica. La probabilità di scegliere lo stesso numero, scegliendo a caso, è molto bassa; eppure quasi tutti scelgono il numero zero e si portano a casa i dieci euro.
Giochi di coordinazione di questo tipo si incontrano continuamente nella vita di tutti i giorni. Se cade la linea durante una telefonata, richiamo io o aspetto che richiami tu? Il centrocampista deve passare la palla alla destra o alla sinistra del centravanti? Evidentemente, dipende da che parte ha deciso di scattare quest'ultimo. Ma il centravanti, a sua volta, si trova ad affrontare la stessa questione: scattare sulla destra ha senso soltanto se il centrocampista lo lancerà in quella direzione. E così via.
La teoria dei giochi, paradossalmente, suggerisce di muoversi a caso, come farebbe un computer un po' ottuso. Thomas Schelling è stato il primo a notare che in numerose situazioni il problema della coordinazione viene risolto appigliandosi a dettagli apparentemente irrilevanti ma in realtà cruciali ai fini della decisione. Nel gioco dei numeri, scegliamo quasi tutti lo zero perché è un numero "diverso" (è il primo della lista e anche un numero notoriamente particolare). In gergo, lo zero è un'opzione "saliente", che spicca fra le altre e permette di risolvere il problema della coordinazione in modo "irrazionale", ma intelligente!

domenica 15 febbraio 2009

35 A caccia di gazzelle - bis

Ho sottoposto questo gioco di “caccia alle gazzelle” a centinaia e centinaia di persone.
In genere, io svolgo il ruolo di “animatore” del gioco.
In una prima fase, chiedo a ogni giocatore di decidere cosa fare. In questa fase, i giocatori non si incontrano, non si parlano (li tengo proprio in stanze separate), e per questo spesso decidono di non collaborare, cercando di accaparrarsi il bottino maggiore per sé a scapito dell’altro. Ma siccome entrambi fanno questo ragionamento, finiscono per cadere nella situazione peggiore.
Dopo alcune giocate di questo tipo (che finiscono prevalentemente nella situazione 1+1), il ragionamento è chiaro:
Io che cosa mi aspetto? Se non ti conosco e non ho motivo per fidarmi di te, noto che, indipendentemente da ciò che farò io, per te la scelta migliore sarà comunque quella di barare. Come mostra la tabella, infatti, se io coopero, tu barando ottieni di più (3 gazzelle anziché 2); e se io baro, tu barando ottieni comunque di più (una gazzella anziché niente). Pertanto, ne deduco che tu sceglierai di barare.
La scelta più razionale a livello individuale è quella di non cooperare!
Ma siccome entrambi siamo esseri razionali, entrambi decidiamo di barare e finiamo nella situazione peggiore a livello di “sistema”: 1+1=2, il risultato peggiore se si calcola la somma dei due giocatori (negli altri casi abbiamo o 3 o 4).
Alla fine ogni giocatore capisce e fa questo ragionamento: a te conviene barare. Ma naturalmente tu a tua volta, applicherai questo medesimo ragionamento a me, convincendoti che io barerò. Così, ciascuno di noi sa che l’altro sceglierà di barare e che, di conseguenza, torneremo a casa dalla nostra battuta di caccia con una sola gazzella a testa, che probabilmente sarebbe troppo poco per giustificare lo sforzo richiesto.
Presto si sviluppa una certa frustrazione, causata dal fatto che io, come “animatore” del gioco non sto permettendo ai giocatori di incontrarsi (si noti per inciso che il nome originario del gioco è proprio dilemma del prigioniero: di cosa sono prigionieri i due giocatori? Proprio dell’impossibilità di comunicare!)
A questo punto inizia una seconda fase, in cui permetto ai giocatori di incontrarsi.
Qui i ragionamenti cominciano a cambiare:
Se ci conosciamo e ci fidiamo l'uno dell'altro, possiamo promettere di collaborare e aspettarci di essere creduti. In questo caso, vale la pena di collaborare per la caccia, dato che otterremo due gazzelle a testa: la fatica della battuta sarà ben ricompensata a livello individuale (2 gazzelle) e ottimamente ricompensata a livello di gruppo (2+2=4, massimo possibile).
Così, se ci fidiamo vicendevolmente, abbiamo davanti migliori opportunità: il risultato complessivo sarà più alto.
Il fatto di incontrarsi, di entrare in comunicazione permette di trovare un accordo per la situazione migliore. Spesso i giocatori impiegano un po’ di giocate per imparare a fidarsi a vicenda, per stipulare un accordo e per rispettarlo. A volte uno dei due si fida di più e coopera subito, ma l’altro lo “frega” e si becca 3 gazzelle. A volte, il cooperatore, bruciato dall’esperienza, non si fida più per diverse giocate. Per diverse giocate i due ricadono nella situazione peggiore.
Ma praticamente sempre (è solo una questione di tempo) i giocatori imparano progressivamente a fidarsi e a convergere sulla situazione migliore. Spesso elaborano anche discussioni creative su come garantire l’accordo: firmiamo un documento, esistono delle punizioni, ci mettiamo d’accordo per dividere sempre in ogni caso il risultato della caccia, ecc. Queste elaborazioni sono interessanti perché ripercorrono spesso quello che nei secoli ha fatto l’umanità nell’ambito del funzionamento sociale e del diritto positivo: accordi, contratti, leggi, premi, pene, punizioni, ecc.
La cooperazione, quindi, non è un gioco a somma zero (dove uno vince solo se l'altro perde), ma è un gioco in cui possono vincere entrambi. Se gli esseri umani non fossero stati in grado di cooperare in questo modo, non sarebbero probabilmente sopravvissuti alle asprezze della vita nella savana.
Probabilmente questa capacità è stata uno dei grandi vantaggi evolutivi della specie homo.
Oggi possiamo dire che l’evoluzione ha “cablato” nei nostri neuroni la capacità di collaborare, di essere animali sociali. Ma la cosa interessante è che questa etica profonda è fondata, come dimostra il gioco, non necessariamente su un’etica dei valori (“si deve collaborare perché è giusto”) ma anche solo su un etica delle conseguenze, ovvero sul calcolo razionale dei pro e dei contro delle diverse alternativa (“si deve collaborare perché conviene”).

venerdì 6 febbraio 2009

34 A caccia di gazzelle


Proviamo a immaginarci nei panni di due nostri progenitori che s’incontrano e si mettono a discutere se partire per una battuta di caccia alle gazzelle.
Chiamiamoci «tu» e «io».
L'esito della caccia dipenderà fondamentalmente da come ognuno di noi accetterà di fare la propria parte. Io posso scegliere di cooperare, aiutandoti a catturare le gazzelle e mettendo in comune le prede, oppure di barare, lasciando che sia tu a fare tutta la fatica e venendo poi a sottrarti gli animali uccisi. Naturalmente, anche tu hai davanti la medesima alternativa.
Se rimaniamo insieme, otterremo il risultato migliore - due gazzelle a testa. Ma se tu bari e io no, tu tornerai a casa con tre gazzelle, e io resterò a mani vuote - o il contrario, se sarò io a scegliere di comportarmi slealmente. Infine, se sceglieremo entrambi di barare e ce ne andremo ciascuno per conto proprio, alla fine della giornata avremo catturato soltanto un animale a testa.
Ora immedesimati in uno dei due cacciatori. Cosa fai?

sabato 24 gennaio 2009

33 Giochi di cooperazione

Iniziamo oggi un breve percorso sulla questione della cooperazione.
Nel 2005 l'israeloamericano Robert J. Aumann e lo statunitense Thomas Schelling ottennero il premio Nobel per l'Economia per i loro studi sulla teoria dei giochi e per aver tramite questi dimostrato che la cooperazione è più produttiva della guerra
La matematica della teoria dei giochi è molto complessa, ma uno dei suoi cardini si fonda sul famoso dilemma del prigioniero che non a caso parla proprio di collaborazione. Ne ho trovato una versione efficace in un libro di Richard Layard (“Felicità”, Rizzoli) e ve la proporrò nel prossimo post.

mercoledì 14 gennaio 2009

32 Reti corrotte

Su repubblica di qualche settimana fa è uscito un bell’intervento di Saviano (quello di “Gomorra”) sulla degenerazione della società italiana, dove alla corruzione “grande” (quella delle tangenti e degli appalti truccati) si affianca una più diffusa, quotidiana, piccola corruzione: quella delle raccomandazioni, dello scambio di piaceri, dei favori agli amici.
La denuncia tira in ballo, mi pare, l’interpretazione da dare a ciò di cui si occupa questo Blog: le reti del capitale umano.
La tesi di questo Blog è sostanzialmente: non esiste identità se non dentro una rete di relazioni; non esiste efficacia del proprio stare al mondo senza reti di relazioni; la rete di relazioni è un capitale che l’individuo deve curare, innaffiare, fare crescere.
Dove sta, in fondo,la differenza tra questo modello e quello che Saviano critica?
Anche Golemann, nel suo fortunatissimo “Intelligenza emotiva” sostiene che la capacità di avere successo nella vita dipenda, più che dall’intelligenza logica, da una forma di intelligenza che ha a che fare con la capacità di costruire e mantenere relazioni sociali.
Allora? Io credo che la differenza di fondo sia etica. Credo che ciò che fa la differenza è il modo in cui si interpretano e (se mi passate il termine) si “utilizzano” le relazioni. È il brodo di coltura etica in cui queste reti nascono e crescono, Questo “brodo” deve essere una società non corrotta, trasparente, che premia la meritocrazia e permette pari opportunità di accesso.

venerdì 9 gennaio 2009

31 La gente ha voglia di vedersi!

Con l’avvento di Internet si è prevista e temuta la decadenza dei rapporti interpersonali faccia a faccia. In effetti fenomeni come Second Life o Facebook sembrano agire proprio inquesta direzione: danno l’impressione di essere in contatto, anche se in realtà si è tragicamente soli.
Ma ci sono anche segnali opposti.
K.T.Greenfeld, autore di best sellers sull’argomento (ad es. Boy Alone, non ancora edito in Italia) dice che l’effetto è stato invece la rivalutazione dei rapporti faccia a faccia, e cita a supporto di questa affermazione il fatto che praticamente nessuno fa il telelavoro e le grandi città, anziché spopolarsi, stanno aumentando il numero di cittadini.
La gente ha voglia di vedersi!

venerdì 19 dicembre 2008

30 Malinteso fra mondi

Didimo mi propone questo commento:
“Il problema è più complesso di come tu l’hai posto. Nella proposizione 5.6.2. del Tractatus, Wittgenstein ci ricorda che ognuno ha il proprio mondo e che esso dipende dal linguaggio che egli ha imparato dai genitori. I confini e i limiti del linguaggio (del solo linguaggio che io veramente comprendo, che è quello della mia lingua madre) sono i confini e limiti del mio mondo. Didimo”
La citazione di Didimo si riferisce a L. Wittgenstein, Tractatus logicus philophicus, Einaudi.
Si, è vero: il malinteso è un conflitto tra mondi. Non solo un difetto nella procedura di comunicazione.

giovedì 18 dicembre 2008

29 qui-pro-quo

29 qui-pro-quo
Sto lavorando con un Greco scrivendoci email in inglese e mi accorgo di quanto i malintesi siano un rischio continuamente incombente.
Nella rete mondiale si parla prevalentemente inglese, ma i parlanti provengono da lingue diverse. Il rischio di malintesi derivanti da cattive traduzioni è elevato. Gli esperti conoscono bene questi rischi, e anche la portata talora devastante delle loro conseguenze. Spesso, all’origine di grandi disastri aerei ci sono gli equivoci tra torre di controllo e piloti causati dall’imperfetta padronanza dell’inglese (il caso forse più famoso è probabilmente il disastro di Tenerife i cui persero la vita quasi 600 persone- ved. http://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_di_Tenerife). Malintesi possono nascere e causare conseguenze anche tra due corrispondenti e-mail di madrelingua diversa che si scrivono in inglese.
Ci sono delle soluzioni o delle precauzioni? Certo, sapere bene l’inglese, ma anche adottare la ridondanza comunicativa, che consiste in molte cose. Una è quella di scrivere due volte il concetto con due frasi diverse. Oppure quella di scrivere il concenttto e poi spiegarlo con un esempio. In questi modi si ripete il pensiero con parole diverse e con un altro punto di vista, diminuendo il rischio di malintesi. Ad esempio, se scrivo al mio costruttore di casa in Grecia che voglio le persiane in alluminio di color grigio ferro, senza pensarci su troppo potrei scrivere: “I’d like aluminum dark iron grey shutters”. Non è ben chiaro se voglio delle persiane in alluminio o in ferro. Se me ne rendo conto, so che mi conviene scrivere per esteso la frase. Ma spesso non ci rendiamo conto della tortuosità e sinteticità delle nostre espressioni. Allora è importante adottare come metodo sistematico di lavoro la ridondanza, l’uso del “that is” o dell’ “i.e.” (cioè) dell “e.g.” (per esempio), oppure del concetto ripetuto in altra forma (“like ones you used in the Sivota house you bilded last year”)

sabato 13 dicembre 2008

28 Gratuità

All’inizio del XIX secolo, alcuni scienziati si dedicarono a ricercare i modelli matematici che potevano descrivere i… nodi! La loro unica motivazione era la curiosità. Ma un secolo dopo, senza che fosse in alcun modo possibile prevederlo, abbiamo scoperto che i loro modelli sono molto utili per combattere i virus, molti dei quali operano alterando la forma della molecola di DNA inducendo la formazione di una sorta di nodo (K. Devlin, Il gene della matematica, Longanesi, Milano, 2002).
Inutilità.
Gratuità.
Provate a ricercare e scoprire qualcosa per il puro gusto dell’esplorazione.
Per il puro gusto della bellezza (gratis in latino è la contrazione di gratiis, ablativo di gratia, bellezza).
Per il puro gusto del gioco (A. Peretti, Il dubbio di Amleto, il gioco come modo di pensare, sentire, agire, Ed. dell’Orso, Alessandria, 2001).
Mettete “in frigorifero” quella scoperta: la tireremo fuori al momento opportuno in cui si rivelerà utile, remunerativa.
Un’organizzazione dovrebbe avere la forza di investire un po’ delle sue risorse in attività gratuite, inutili. Creare un ufficio che si occupi di ricerca di base. Oppure stabilire che a chiunque nell’organizzazione è riconosciuta una certa percentuale di tempo per la ricerca pura. Pura nel senso che non deve dare conto del perché, del quanto vale. Il perché sta nel divertimento, nella sfida, nella bellezza. Ma ciò che oggi sembra non valere nulla, domani potrebbe essere preziosissimo. Come l’inutile teoria dei nodi.

mercoledì 3 dicembre 2008

27 Lo sciame inquieto

Ci sono alcune caratteristiche del web (moltissimi attori, istantaneità di comunicazione, numerose ricorsività) che determinano comportamenti isterici di masse di utenti. Ad esempio, la rapida crescita e il repentino declino di certe comunità cirtuali (ad es. Second Life o LinkedIn) hanno mostrato quella che sembra una regola oramai attendibile: le aggregazioni (attorno a certi siti, servizi on line, comunità di social network o di blog o di forum) hanno cicli di vita brevi. C’è un periodo di crescita, che innesca spesso un vero e proprio loop esplosivo, cui segue un quasi altrettanto veloce processo di perdita di attenzione, la gente sciama, inquieta e vanesia, verso altre attrazioni.
Chi vive di queste attività, offrendole sulla rete, deve continuamente attrarre, innescare attenzione, produrre novità. Chi fruisce di questa offerta è sempre più instabile, insofferente per la lentezza, volubile. È capitale umano, questo?

sabato 29 novembre 2008

26 Prigioniero di Facebook

Sulla Domenica del Sole 14 Ore del 9 novembre è uscito un bell’articolo di Andrea Bajani intitolato “Prigionieri di Facebook”. Dice qualcosa di collegato a quello che dicevo io nel post n. 15 (“Nuovi salotti”). Racconta con ironia del senso di irrealtà che nasce da questa grande e un po’ stupida comunità dove tutte queste nostre facce sono presenti e incombenti come in un ossario. E specialmente condivide, con me e con molti altri, l’esperienza di avere un sacco di conoscenti che ti dicono: “Ci sei, su Facebook?”
Ma poi, quando ci sono, che ci faccio? Non è meglio uscire all’aria aperta, farsi un giro in bici?

sabato 22 novembre 2008

25 Lettera a Paolo Rossi

Gentile Paolo Rossi,
grazie per questo piccolo (ragionevole, direi) libro che si intitola Speranze (1). Credo che ne regalerò diverse copie ad amici, per Natale. Se c’è qualche motivo per nutrire ragionevoli speranze, lei dice, può essere rintracciata, ad esempio, nella spettacolare diffusione della democrazia e dei diritti umani negli ultimi trent’anni. Sono d’accordo. Ma la domanda chiave sta a pag 133 del suo libro: “l’abbandono dell’illusione è davvero sopportabile da tutti?”
Può il ragionevole Veltroni riuscire a muovere un popolo intero?
Ho visto da vicino il declino del partito che fu il PCI, poi PDS, poi DS. Quello che era un partito pieno di ideali, cementato dalla grande narrazione di un futuro migliore, è oggi un agglomerato di businessman che si fanno guerre tra bande. Sappiamo che quella narrazione era una grande menzogna, ma attraeva e mobilitava uomini e donne pieni di valori umani. Le piccole e razionali narrazioni di cui lei parla non sembrano essere sufficienti né per coalizzare gli ideali, né per portare un partito a vincere le elezioni.
Un’etica di ragionevoli speranze non può limitarsi a ripiegare nel privato. Essa mi convince nella misura in cui riesce a mobilitare gli esseri umani verso la politica e le politiche. In democrazia, per governare i processi del cambiamento occorre “avere i numeri”, tendenzialmente la maggioranza.
Cari saluti
Mario Gattiglia

(1) Paolo rossi, Speranze, Il Mulino, 2008

venerdì 14 novembre 2008

24 Web come economia del dono

In un campo a cavallo tra etica ed economia, il web sta dando sostanza a un filone di riflessioni che fanno capo prevalentemente alla rivista MAUSS e che da anni propongono il “terzo paradigma” (Caillè) del “dono” (Godbout) come terza via tra individualismo e collettivismo, tra liberismo e socialismo. Ma dove stavano gli esempi di questo antiutilitarismo fino a pochi anni fa? Solo nelle famiglie, nelle relazioni amicali e nelle minoritarie esperienze di mutua solidarietà e di volontariato. Oggi il web sta letteralmente esplodendo di software open-suorce, forum, blog, sistemi wiki in cui, senza troppo sforzo, si possono vedere esempi molto ampi del paradigma del dono.

mercoledì 12 novembre 2008

23 Reti e democrazia

La forza delle reti di comunicazione può avere molte conseguenze. Una riguarda la democrazia e i diritti umani. Due dati:
1. su un totale di circa 150 paesi nel mondo, nel 1974 c’era 41 democrazie. Oggi si può dire che circa 125 paesi hanno vissuto in democrazia nella maggior parte degli ultimi 30 anni. Di essi, solo 14 hanno vissuto un regresso dittatoriale. Mai questi quattordici, 9 sono di nuovo tornati alla democrazia (fonte: Paolo Rossi, Speranze, Il Mulino - http://www.mulino.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=12700).
2. in molti paesi africani si sta affermando la consapevolezza che la mutilazione genitale femminile è un crimine, anche se fa parte della tradizione locale. Nel 2007 in Eritrea la m.g.f. è stata dichiarata reato. Dopo aver ricordato dati come questi, in un famoso articolo il sociologo inglese Anthony Giddens scrive che, volendo individuare il motivo di questa enorme crescita democratica e culturale del mondo negli ultimi anni, gli viene in mente un simbolo: “quello dell’antenna parabolica per la TV satellitare” (http://www.archiviostampa.it/it/articoli/art.aspx?id=5515).

martedì 11 novembre 2008

22 Semplicità e complessità

L’articolo di Nicholas Carr che ho citato nel post numero 11 ha scatenato in questi mesi un dibattito ricco di ramificazioni. Una di queste riguarda la complessità.
Mentre la complessità è diventata uno dei pezzi fondamentali del DNA della scienza contemporanea, sembra stare scomparendo nella consapevolezza del vivere quotidiano.
Leggere un libro ci costringe alla fatica, alla concentrazione, alla pazienza. Richiede tempo.
La lettura prevalente di oggi è superficiale, veloce, interrotta continuamente, spesso deviata e deviante, spesso ignara dei contesti e delle ramificazioni che abbiamo percorso.
Ma la complessità è una caratteristica dell’oggetto osservato o del soggetto osservante?
Perché se siamo nel secondo caso, ha ragione chi, come Carr, tira il segnale d’allarme: il nostro cervello, come il nostro linguaggio, si sta pericolosamente semplificando. Ciò non ci rende più capaci, ma più semplicistici, più superficiali. “Una volta –dice Carr- facevo il sub in un mare di parole. Adesso surfo la superficie.”
Ma se siamo nel primo dei due casi (la complessità è una caratteristica dell’oggetto osservato), potrebbe darsi che il nostro nuovo modo di muoverci tra i link sia un buon nuovo modo di rispondere alla sfida della complessità.

lunedì 10 novembre 2008

21 Black-post

Una delle risposte più rozze e scorrette, ma diffuse, che le aziende danno alla sfida di cui dicevo al post precedente è quello che chiamerei il “black-post”: dipendenti dell’azienda vengono pagati per passare una parte del proprio tempo tra i blog, i forum e i social network che parlano dell’azienda stessa per lasciare commenti “travestiti”. Spacciandosi per consumatori di quel prodotto ne decantano i pregi. Siccome il tasso di fiducia dei consumatori per quello che trovano scritto sui blog è molto superiore oramai al tasso di fiducia verso la pubblicità, il sistema, decisamente scorretto, potrebbe funzionare. Naturalmente i moderatori dei blog e dei forum hanno qualche contromisura, prima fra tutte l’esperienza e il “fiuto”.

domenica 9 novembre 2008

20 Il marketing verso i social network

Oracle è una delle più importanti case produttrici di software per le aziende. Il suo proprietario, Larry Allison è uno dei più antipatici tra i grandi imprenditori. Ma quello che sta facendo Oracle è sintomatico della diffusione dell’importanza delle reti del tipo 2.0.
Oracle sta proponendo tutta una serie di prodotti software che aiutano l’impresa a sfruttare i social network.
Questo perché oramai gli esperti di marketing hanno capito che i clienti della generazione web sono sempre più refrattari alla pubblicità classica. Quando una di queste persone vuole decidere un acquisto, raramente si collega al sito dell’azienda, preferisce andare a cercare commenti e consigli di altri consumatori nei social network, nei forum, nei blog, nei siti di comparazione.
L’inserto “Nova” del Sole 24 Ore di giovedì 30 ottobre 2008 riporta una ricerca di Oracle secondo cui solo il 20% dei clienti si fida degli strumenti classici di comunicazione (pubblicità, promozione, ecc.). Al contrario, il 70% degli utenti dei social network si fida dei consigli dei propri simili.

venerdì 7 novembre 2008

19 Il lato oscuro

Forse quello che ho scritto ieri sulla coerenza del “prodotto” Obama con il web 2.0 ha un lato oscuro. Molti giornali in questi giorni hanno segnalato che Obama sembra un perfetto avatar. La sua figura è stata spesso usata come disegno e non come fotografia. La sua biografia è talmente non convenzionale da sembrare inventata. Nei siti Obama è un nickname con cui ciattare. Obama non sembra uno del mondo di carne e polvere. Sembra web-generated.
È stata questa la sua forza sul web? La forza di assomigliare alle finte e multiple personalità di Second Life? Agli avatar con biografie false?

giovedì 6 novembre 2008

18 Obama eletto da You tube

A conferma di quanto ho scritto ieri, leggo oggi che in un’intervista a Repubblica Nicholas Negroponte dice che “il presidente Kennedy fu eletto grazie alla televisione. Se è così, allora Obama è stato eletto grazie a You Tube”.
Repubblica però ricorda che, paradossalmente, il primo a comprendere le potenzialità del web 2.0 e a provare a usarle per la campagna presidenziale era stato proprio Mc Cain nel 2000.
Ma allora, dove sta la differenza? Evidentemente i media non bastano. Occorre anche che il “prodotto” da vendere sua coerente. Obama è molto più coerente con le reti di Mc Cain. Non solo perché è giovane. Tutta la sua immagine, la sua biografia, i suoi slogan sono coerenti con il web 2.0

mercoledì 5 novembre 2008

17 Obama

Obama è il nuovo Presidente del mondo. Oggi i commenti si rincorrono e si sprecano. Rispetto al tema di questo blog, va ricordato che sicuramente è stato bravissimo nell’uso dei media classici della comunicazione: ha dominato l’avversario dei confronti TV, ha riempito piazze e stadi con folle enormi. Ma più di tutti e più che mai ha usato efficacemente le nuove reti sociali sul web. Ha caricato su You Tube più di 1.300 video, ottenendo 15 milioni di contatti (per non parlare di quelli generati dall’indotto dei blog e dei forum). Ha costituito una web TV collegata al suo sito e a You Tube. Sta usando Facebook come un normale utente, caricando foto di famiglia e descrivendo le proprie passioni personali, ma –al contrario di un normale utente- ha più di due milioni di amici.

domenica 2 novembre 2008

16 Linguaggio blog

È interessante riflettere sui linguaggi dei blog. Il blog nasce come diario. E gli uomini hanno sempre tenuto dei diari. Ma oggi questi diari in rete sono fortemente interattivi e subdolamente narcisistici. I blog dei giornalisti stanno modificando il giornalismo. I blog della gente comune sono spesso un modo patetico di mettersi in mostra. I blog dei professionisti sono spesso advertising fatto in casa.
Tutti hanno in comune la rarefazione del pensiero, la ricerca della sintesi, l’impoverimento del lessico.
L’esigenza di postare spesso e con un certo ritmo costringe a scrivere per forza qualcosa. Così si impoverisce anche la qualità dei contenuti. La lenta revisione del testo, il tornarci spesso su per migliorare, tagliare o aggiungere non fa parte della dinamica del blog.
Ma la velocità, se ha molti difetti, ha il pregio della spontaneità, l’onestà dell’azzardo.
E poi occorre decidere di quale velocità si parla. La maggior parte dei blog nasce dalla notizia di cronaca o dall’esperienza quotidiana personale. Ma nulla vieta, come sto cercando di fare io, di scrivere un diario che provi a inanellare riflessioni filosofiche.
Alla fine, come si fa in ogni diario di viaggio, guardo a ritroso al strada percorsa, ed emerge tutto il “moto retrogrado del vero” di cui parlava Bergson, quella sorta di ironia tragica della storia di cui parlano Bocchi e Ceruti nel bellissimo “Origini di storie” (Feltrinelli).

sabato 1 novembre 2008

15 NUOVI SALOTTI

Dopo la sua apertura in lingua italiana, Facebook sta esplodendo qui da noi. I nuovi account crescono a ritmi vertiginosi. I giovani hanno grande familiarità con queste reti di relazione su internet. Ma da un po’ di tempo stanno arrivando anche gli adulti. Ad esempio, LinkedIn sta ottenendo, con un target adulto e professionale, lo stesso successo di MySpace per i giovani.
Mi trovo in certe riunioni e sembra che, se non “sei su Facebook” o su LinkedIn, sei un tagliato fuori. Sembra che queste reti stiano diventando un importante veicolo di promozione professionale.
Qualche domanda:
1) quanto tempo ci si deve dedicare?
2) guarda caso, i più attivi sono i lavoratori dipendenti delle grandi organizzazioni,molte dei settori meno efficienti, come quello pubblico, bancario, assicurativo, universitario
3) non sono forse “nuovi salotti”? e quanto ci va di “stare a salotto”?
Io ho finora attraversato la vita professionale cercando di farmi apprezzare per l’essere, non per l’esserci.

sabato 25 ottobre 2008

15 Come la mettiamo?

Allora, come risolvere il dilemma del post numero 14?
Parliamo per una volta degli osservatori e non dell’osservato. Come fanno questi osservatori a denunciare la connessione tra impoverimento del linguaggio e totalitariamo? Come fanno ad avere quel punto di vista esterno che permette loro di non essere vittime essi stessi dell’impoverimento?
Io penso che non si tratti dello straordinario o fortunoso fatto che essi si sono salvati dall’impoverimento nel linguaggio che usano. Questo è, ma non basta. Questo è, ma non è la causa, bensì l’effetto di qualcos’altro. Penso che questi osservatori abbiano una capacità critica perché non soccombono alla dinamica stessa che affermano, ovvero al fatto che il linguaggio genera la realtà. Essi sono la dimostrazione che non sempre e non completamente il linguaggio genera la realtà. In qualche modo, essi hanno mantenuto almeno un piede su un terreno fatto non di parole, ma di valori, di affetti, di scetticismo, di ricerca, di relazioni. Nel loro caso, è la realtà che genera il linguaggio. Quale realtà? La realtà morale.
Questa mia tesi può generare una prospettiva di risposta per le reti che si creano su Internet. È vero che il linguaggio si impoverisce, ma è anche vero che le reti possono fondare l’etica. Noi abbiamo dei valori non tanto perché abbiamo letto l’Etica Nicomachea di Aristotele, ma piuttosto perché abbiamo imparato ad amare, abbiamo discusso con gli amici in mille notti, ci siamo indignati e abbiamo partecipato a una raccolta di firme, abbiamo avuto paura e ottenuto conforto da chi dialogava con noi, abbiamo avuto speranza e dato conforto a chi dialogava con noi.

martedì 21 ottobre 2008

7 bis IO E RETE

Raccolgo con grande piacere la critica del commento al post numero 7.
Il dibattito è aperto. È vero: passiamo troppo tempo della nostra vita fuori da noi stessi. Le reti possono fare parte di questo problema. Se c’è qualche punto fermo, qualche baricentro, è sicuramente l’introspezione e la ricerca di una risposta alle domande: chi sono io, veramente? chi voglio essere? chi posso essere? Ma è anche vero che l’io cresce e si struttura nella relazione con gli altri.

lunedì 20 ottobre 2008

14 Povero linguaggio

Da almeno un secolo oramai la filosofia ha messo il linguaggio a crocevia delle dinamiche del mondo. Ma già Aristotele aveva chiarito che l’uomo è un animale sociale perché sa parlare. E ora più che mai la nostra comprensione della realtà, la nostra azione su di essa dipendono dalle parole che abbiamo. Il linguaggio genera la realtà-
Una forma di questa riflessione riguarda il totalitarismo e la manipolazione (in genere semplificatoria) del linguaggio. Con Orwell abbiamo avuto la più celebre denuncia del fatto che l’impoverimento della lingua fonda il totalitarismo. Orwell scriveva nel 1948. Da allora l’impoverimento è continuato. I totalitarismi sono stati combattuti, sconfitti, spesso sono ricomparsi. A volte sotto forme più subdole. A esempio, oggi molti osservatori ci mettono in guardia dalla situazione che si sta creando in Italia, dove il linguaggio politico è enormemente impoverito, arretrato, rappreso in slogan e moduli semplici e ripetitivi (si veda ad es. AAVV Forme contemporanee di totalitarismo, Bollati Boringhieri).
Il linguaggio di Internet (e ancora più quello dei telefonini) si sta ulteriormente impoverendo: è il segno di una deriva autoritaria mondiale? Eppure Internet è il veicolo più forte di diffusione di democrazia. I governi antidemocratici lo sanno benissimo e ne limitano la diffusione.

lunedì 13 ottobre 2008

13 Cofferati

La settimana scorsa il Sindaco di Bologna, Cofferati, ha dichiarato che non si ricandiderà. I giornali di destra hanno innaffiato la notizia di ironia e dietrologie sulla paura di perdere. L’Unità e Repubblica hanno scritto bellissime pagine sulla capacità di scegliere i valori e sull’inumanità del potere.
Nel mio piccolo, 11 anni fa, ho fatto qualcosa del genere. Se puoi permettertelo, la scelta non è drastica (cara, sto a casa io o stai a casa tu?). si tratta solo di diminuire gli impegni, di ritagliarsi (anzi, definire con chiarezza) gli spazi e i ruoli. L’ho fatto nei primi anni di vita di mio figlio e in cambio ho avuto moltissimo. Direi che è stato il periodo migliore della mia vita. Quelle mezz’ore infinite sotto il sole di maggio fuori dalla scuola materna a vederlo giocare con i suoi amichetti. Vedo e sento il sole che scalda i vestiti ancora invernali.
Anche questa è una base delle infinite forme di capitale umano. Saper metter i valori in una gerarchia scelta da me e non impostami dai processi o dalla retorica delle organizzazioni, non abbagliata dal desiderio del successo.
Ma, come dicevo, bisogna anche poterselo permettere. Se fai parte di un’organizzazione grande e strutturata, se sei un lavoratore dipendente, è difficile. Ho visto dei telelavoratori in AEM (poi Iride). Hanno fatto una scelta simile alla mia e una buona Direzione del personale gliela lasciata fare. Ma sono pochi. Sono poche le aziende. E rimane il dubbio che la loro carriera lì finisca.

sabato 2 agosto 2008

11 Internet ci rende stupidi?

Quello che ho brevemente ricordato nel post precedente autorizza anche a fare questa domanda, più polemica. “Is Google making us stupid?” è il titolo di un bell’articolo di Nicholas Carr apparso su The Atlantic (http://www.theatlantic.com/), rivista da consigliare.
Ad esempio, gli ipertesti ci abituano a saltare da un rimando a una altro in una sorta di parossismo che forse distrugge l’attenzione. Anche i banner e i pop-up distolgono continuamente la nostra focalizzazione. In generale, la potenza dello scritto si sostituisce alla potenza del lettore. E così diminuisce al nostra capacità di concentrarci e di focalizzare l’attenzione. La velocità e brevità dei testi stanno cambiando (e molti dicono demolendo) il linguaggio della scrittura. Google o Wikipedia ci fanno risparmiare un sacco di tempo, ma sono un po’ come delle autostrade tutte in galleria: ci portano velocemente a destinazione, ma ci fanno perdere completamente il senso del territorio, il senso di orientamento, la consapevolezza di dove ci troviamo rispetto a ciò che c’è intorno. Nel suo testo, Carr guarda a se stesso e si accorge di avere perso la capacità di concentrarsi, la pazienza, la determinazione che richiedono, ad esempio, la lettura di un testo lungo e complesso o la ricerca di un’informazione in modo approfondito e affidabile.
Probabilmente tutto questo sta accadendo. Stiamo perdendo certe capacità. Ma abbiamo guadagnato la disponibilità enorme e immediata di informazioni. E, se siamo capaci, abbiamo ampliato enormemente il nostro potenziale di rapporti.

venerdì 25 luglio 2008

10 Internet cambia il nostro cervello?

Molti studiosi delle neuroscienze e delle scienze cognitive si interrogano: internet sta cambiando il nostro cervello? Se si, come? Le domande sono lecite, perché i neuroni e le loro connessioni si rinnovano continuamente. Non c’è bisogno di una mutazione genetica, che richiederebbe generazioni. Il cervello cambia ogni giorno.
Sicuramente possiamo dire che internet sta cambiando il nostro cervello. Come lo stia cambiando, è forse troppo presto per capirlo. Sicuramente, però, si possono osservare dei fenomeni evidenti. Ad esempio, tutti i giovani abituati a usare gli ipertesti hanno un rapporto più reticolare con la lettura. Chi, come me, ha iniziato a leggere in un tempo in cui gli ipertesti non esistevano, è abituato a leggere un testo (ad esempio un libro) in sequenza, e raramente gli viene in mente di zompare da un capitolo all’altro.
Un altro esempio è il cambiamento radicale del nostro rapporto con la ricerca di informazioni. Strumenti come Google o Wikipedia mettono a disposizione di tutti e immediatamente informazioni che fino a pochi anni fa avrebbero richiesto ricerche di ore o giorni o mesi in biblioteca o emeroteca.

sabato 19 luglio 2008

9 NARRAZIONI

Ho letto da poco qualcosa sul metodo narrativo in psicoterapia e sul pensiero narrativo in generale. La persona che scriveva questo articolo lo definiva un pensiero importante, che fonda e rifonda continuamente la nostra identità e i nostri sistemi di senso. è invece, se ci pensiamo bene, una delle attività più frequenti e centrali nella nostra vita. Al mattino facendo colazione, durante il giorno in ufficio o a scuola, alla sera mentre ceniamo, dopo cena (se non ci azzeriamo di fronte alla televisione) ci scambiamo decine e decine di narrazioni. In questo scambio con le narrazioni degli altri nostri amici, colleghi e parenti, costruiamo e ricostruiamo il senso del nostro presente, talvolta guardando al passato, talaltra al futuro. Il pensiero narrativo raramente produce una forma scritta e organizzata. Ma il fatto che per la maggior parte di noi il pensiero narrativo non sia né scritto né organizzato non vuol dire che esso sia meno importante o meno frequente. Esso corrisponde alla naturale inclinazione dell’essere umano a raccontare e raccontarsi. Questa inclinazione è sicuramente legata al benessere psicologico che questa attività genera. Ciò raggiunge livelli “organizzati” ad esempio nel caso della psicoterapia; ma senza arrivare a tanto, basta che si produca la forma scritta, ad esempio se decidi di tenere un diario.

martedì 8 luglio 2008

8 ETICA NELLE STORIE

Richard Rorty ha il pregio di parlare di temi continentali con un linguaggio da analitico. È uno dei pochi.
Secondo Rorty, le grandi idee filosofiche passano più attraverso la letteratura che attraverso i saggi di filosofia. Anzi, io direi più attraverso la narrazione, che oggi usa anche nuovi media.
La filosofia, quando vuole essere pratica, è per buona parte fatta di sentimenti: ad esempio la solidarietà e la simpatia con il resto dell’umanità, oppure la fiducia nel ragionamento e nel dialogo. Ebbene, è assai probabile che noi abbiamo imparato queste cose più da alcuni romanzi letti nell’infanzia che da saggi filosofici.
La cosa è convincete e coerente con le conclusioni cui ero già arrivato io. Un problema è il fatto che mi pare che Rorty (e io stesso) faccia più riferimento al romanzo ottocentesco che alla letteratura moderna. L’altro aspetto da aggiornare è, come dicevo, rappresentato dai nuovi media.
Forse, più che di romanzi occorrerebbe parlare di Chat e forum su internet, di Blog, o chissà di cos’altro.
Senza dimenticarsi il buon vecchio cinema. Nell’estate 2004 Umberto Eco è stato intervistato da Enrico Grezzi sui rapporti tra cinema e filosofia. Il risultato è un lungometraggio a camera fissa che dev’essere piuttosto noioso. Ma Repubblica ne ha fatto una recensione interessante il 4 luglio 2004. L’approccio è prevalentemente rivolto a come la filosofia può pensare il cinema (e dunque fondarlo). Ma c’è spazio anche per il contrario, più rortyano: come il cinema può fare filosofia.
L’articolista (Antonio Gnoli) naturalmente riconosce che ci sono autori tipicamente filosofici (Antonioni, Bergman, Rossellini, Godard, Wenders), ma dice di avere “l’impressione che la sola filosofia che il cinema possa realizzare sia quella involontaria”, citando piuttosto certe scene di Stan Laurel e Oliver Hardy, o di Buster Keaton, o di Hitchcock ( e perché non Chaplin?). “Come dire: la filosofia si posa dove meno te l’aspetti”. (La Repubblica 4 luglio 2004, pag 37).
La narrazione attraverso il romanzo continua comunque ad avere una sua importanza anche nel mondo attuale. Anzi, forse più che mai. Frederic Beigbeder, ragazzo terribile della letteratura francese, esce in questi giorni con un romanzo sugli ultimi attimi di vita di un padre e dei suoi due figli nel ristorante al centosettantesimo piano del World Trade Center l’ 11 settembre (Windows on the world, Bompiani). Nelle interviste sul libro, che sta scatenando feroci discussioni, lo scrittore si dice più che altro stupito del fatto che nessuno in questi due anni e mezzo abbia pensato di scrivere un romanzo sull’ 11 settembre prima di lui. E spiega su L’Espresso (n. 27 dell’ 8 luglio ’04, pag. 110): “Gli scrittori si sono tirati indietro per paura, o forse per rispetto (…) Perché non dovrei raccontare la storia più mostruoso e più spettacolare a cui abbia mai assisitito?” L’intervistatore suggerisce: “Forse perché la televisione ce l’ha già mostrata sotto tutte le angolature?”
Ecco la questione è proprio questa: il romanzo può arrivare là dove la televisione non arriva, può stare vicino all’angoscia di un uomo che muore, può essere infinitamente più realista proprio perché inventato. Può scendere nel corpo vivo delle idee e delle emozioni. Può alternare, come fa Frederic Beigbeder probabilmente imitando il modello ben noto di Kundera, le vicende dei protagonisti con le riflessioni dell’autore. E in effetti Kundera è veramente uno scrittore filosofico.

lunedì 12 maggio 2008

7 MIO PAPA'

Mio papà è un ingegnere. Chi più di un ingegnere è devoto alla scienza e alla tecnologia? Ma prima di fare Ingegneria fece il Liceo classico, e la nostra casa è sempre stata piena di libri di arte e letteratura. E specialmente, quando era piccolo, ha imparato a suonare il pianoforte. I ricordi della mia infanzia sono pieni di note, mio papà, ingegnere, appena arrivava a casa si metteva al pianoforte e tirava fuori da quei tasti armonie infinite. La mia infanzia è piena di notturni di Chopin, di sonate di Beethoven, di opere di Bach.
Talvolta mio papà, ingegnere all’Enel, mi portava a vedere la grande tecnologia che progettava. Un giorno mi disse: guarda, ora sei affascinato da questi infiniti tralicci, da queste grandi macchine, da queste tubazioni possenti. Ma ricordati che il macchinario non è nulla: dietro c’è sempre qualcuno che lo ha progettato, qualcuno che lo fa funzionare. Il macchinario è niente, senza gli uomini

mercoledì 30 aprile 2008

6 RESPONSABILITA' SOCIALE DELLE PERSONE

Il metodo descritto nel post precedente si basa su un concetto centrale nell’etica: quello della responsabilità. Non in senso giuridico (ho la responsabilità, la colpa di un atto), ma in senso umano: mi sento responsabile per quello che faccio e per le sue conseguenze.
Si parla molto di responsabilità sociale delle imprese. Si parla meno, molto meno della responsabilità sociale delle persone. Eppure è una delle colonne su cui dobbiamo fondare il futuro dell’umanità.
Oggi sta crescendo la consapevolezza dei problemi legati all’ecologia e alla sicurezza. Ma è prevalente la tendenza ad aspettare che le soluzioni vengano trovate dai governi o da altri soggetti nazionali o internazionali. La gente fa fatica a vedere il collegamento tra le grandi sfide climatiche e sociali e il proprio comportamento quotidiano. Eppure nessun governo, nessuna agenzia dell’ONU potranno raggiungere risultati se non ci sarà un profondo e diffuso cambiamento delle nostre abitudini quotidiane, pubbliche e private.
“Il degrado crescente della nostra casa comune, la Terra, denuncia la nostra crisi adolescenziale. Dobbiamo entrare nell’età matura e manifestare segni di saggezza.” (Boff, 1999)

sabato 19 aprile 2008

5 ETICA DI QUARTIERE

A proposito di sicurezza e reti umane...
Da molti anni, oramai, io e i miei colleghi ci occupiamo di problemi della socialità e della cittadinanza. Un’area in cui abbiamo sviluppato esperienze interessanti è ad esempio quella della sicurezza. Possiamo dire di avere ampiamente dimostrato che la sfida della sicurezza si può affrontare efficacemente solo se ognuno fa la sua parte: non solo la magistratura e le forze di polizia, ma anche i Comuni e gli altri enti locali (nella gestione del territorio; facciamo solo tre esempi: l’illuminazione, il recupero e la valorizzazione dei centri urbani, le politiche sociali) e specialmente i cittadini.
Così abbiamo sviluppato un metodo che spinge i cittadini a tornare a prendersi cura della propria casa comune (la città, il quartiere, la scuola, ecc.). Esso consiste principalmente nell’attivare discussioni e crescita di consapevolezza in gruppi di persone. Abbiamo sempre lavorato con gli enti locali, le scuole e il volontariato. Abbiamo cercato di diffondere o difendere la cultura della legalità, del senso di appartenenza, della collaborazione e della solidarietà.
Proviamo a coinvolgere le persone in una presa di consapevolezza di ciò che ognuno può fare, nel suo piccolo, per contribuire a risolvere i grandi problemi che l’umanità ha di fronte. Proviamo a portare le persone oltre la delega disimpegnata, fondata sull’idea che certi problemi sono così grandi che se ne devono occupare i governi: convincerli a vedere e ad assumere la propria responsabilità (di genitori, di figli, di vicini di casa, di cittadini, di utenti, ecc.) nella possibilità di prendersi cura di qualche problema.

martedì 15 aprile 2008

4 ELEZIONI POLITICHE APRILE 2008

Gli italiani hanno scelto la destra. Uno dei motivi della vittoria è legato al problema della sicurezza. Gli italiani hanno paura della globalizzazione e si sentono rincuorati da chi promette dazi e altri isolamenti. Gli italiani hanno paura degli immigrati e si sentono rincuorati da chi promette dighe, palizzate, fili spinati.
Ma queste promesse sono deboli e superficiali. La globalità dei mercati e delle genti non possano essere annullati. L’unica cosa che possiamo fare è crescere e migliorare per affrontare la competizione.
Non occorrono più dazi, né fili spinati. Occorrono più scuole, e migliori, e per tutti. Bisogna investire nel capitale umano. Non possiamo evitare che i nostri figli siano in competizione con l’idraulico polacco o l’informatico indiano. Possiamo però offrire loro un’istruzione che gli permetta di farcela.

sabato 12 aprile 2008

3 DEV

“Non sai come mi sono commosso a vedere certe persone un po’ timide e impacciate prendere un bongo e pian piano sciogliersi al ritmo; li vedi che cominciano a entrare in relazione con gli altri, e alla fine se ne vanno. E la stessa cosa ho visto accadere mettendo le persone a dipingere su un grande muro a loro disposizione, oppure a mixare la musica che avevano voglia in quel momento di fare ascoltare agli altri.”
Davide, in arte Dev, è un giovane artista che organizza momenti di creatività per la gente comune. Il sabato pomeriggio puoi trovare lui e i suoi amici in Piazza Castello nel centro di Torino. Spesso mettono a disposizione di chi passa colori e pennelli. Spesso sono i bambini quelli che iniziano a dipingere, ma poi coinvolgono i genitori, i nonni… Altre volte usano i … (non chiamarli “bongo”!).
Ha deciso di diffondere la voglia di arte tra la gente. Io penso che sia un buon esempio: una cosa che si può fare per riportare la gente per strada, a incontrare altra gente.
Il suo sito: http://www.devgraphic.it/

giovedì 10 aprile 2008

2 CAPITALE DEI RIFIUTI

Un esempio di capitale umano? Proviene chiaramente dal dibattito sui rifiuti di Napoli e dintorni.
È impossibile pensare una qualsiasi azione di miglioramento o difesa dell’ambiente fisico-naturale senza fondarla sulla qualità dell’ambiente umano, fatto di relazioni e valori. Di questo segno è stata l'esortazione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano all'inaugurazione delle celebrazioni al Quirinale del 60° anniversario della Costituzione italiana, (Roma 19.12.’07 - Adnkronos) che ha rilevato “ un bisogno nuovo e stringente di educazione civica nel nostro Paese, non solo per i giovani e i giovanissimi ma per tutti gli italiani".
L’ammonimento del Presidente si collega alla necessità di difendere, rinforzare o ricreare il senso di cittadinanza, di appartenenza e di partecipazione al bene comune che è la base per ogni politica sostenibile.
Anche la lettura dei recenti fatti di cronaca relativi al problema dei rifiuti in Campania lega inscindibilmente fra loro le criticità sociali e territoriali, come si comprende anche dalle parole del Card. Sepe, Vescovo di Napoli, che ricorda che “…ogni cittadino può e deve fare la sua parte. Denunciare le responsabilità politiche e amministrative è doveroso, ma questo non può divenire un alibi per dimenticare il fatto che ogni cittadino è chiamato alla "cittadinanza attiva. Anch'io provengo da questo territorio” ha detto il Vescovo “ e so che la popolazione campana ha le risorse morali per farcela" (13/1/2008).
Questo commento lega inscindibilmente fra loro ambiente fisico e sociale, natura e cultura, indicando fra le righe un approccio strategico maieutico, teso a far emergere e sviluppare le migliori potenzialità esistenti nei cittadini per farne soggetti attivi della propria tutela e promozione.

lunedì 7 aprile 2008

1 INIZIAMO SUBITO CON UN INFANTICIDIO

Il blog è appena nato e io uccido subito il suo nome più importante, il “capitale umano”. Davvero. È un termine che non mi piace per niente. Ma non voletemene: lo tengo perché questo è il termine in voga in questi anni per indicare l’importanza delle dimensioni umane (accanto a quelle tecniche economiche) nelle organizzazioni.

L’idea del capitale umano è frutto della recente evoluzione delle discipline economiche. È un miglioramento importante: riusciamo sempre più a convincere i manager che la produttività non si fonda solo su macchine e procedure, ma anche su come vive la gente nei luoghi di lavoro; gli investitori che devono valutare un’azienda sono sempre più attenti alle sue dimensioni etiche e umane (i capitali “intangibili”) accanto a quelle economico-patrimoniali; alcuni economisti come Yunus e Kahnemann hanno cominciato a dire che accanto al P.I.L. (che definisce la sviluppo solo economico di una nazione) occorre creare indicatori “di sviluppo umano”.

Ma rimane il fatto che il termine è di matrice economica. Ha di buono che riconosce nelle dimensioni umane un capitale. Ha di male che lo vede solo come un capitale, cioè come qualcosa di monetizzato.