venerdì 25 luglio 2008

10 Internet cambia il nostro cervello?

Molti studiosi delle neuroscienze e delle scienze cognitive si interrogano: internet sta cambiando il nostro cervello? Se si, come? Le domande sono lecite, perché i neuroni e le loro connessioni si rinnovano continuamente. Non c’è bisogno di una mutazione genetica, che richiederebbe generazioni. Il cervello cambia ogni giorno.
Sicuramente possiamo dire che internet sta cambiando il nostro cervello. Come lo stia cambiando, è forse troppo presto per capirlo. Sicuramente, però, si possono osservare dei fenomeni evidenti. Ad esempio, tutti i giovani abituati a usare gli ipertesti hanno un rapporto più reticolare con la lettura. Chi, come me, ha iniziato a leggere in un tempo in cui gli ipertesti non esistevano, è abituato a leggere un testo (ad esempio un libro) in sequenza, e raramente gli viene in mente di zompare da un capitolo all’altro.
Un altro esempio è il cambiamento radicale del nostro rapporto con la ricerca di informazioni. Strumenti come Google o Wikipedia mettono a disposizione di tutti e immediatamente informazioni che fino a pochi anni fa avrebbero richiesto ricerche di ore o giorni o mesi in biblioteca o emeroteca.

sabato 19 luglio 2008

9 NARRAZIONI

Ho letto da poco qualcosa sul metodo narrativo in psicoterapia e sul pensiero narrativo in generale. La persona che scriveva questo articolo lo definiva un pensiero importante, che fonda e rifonda continuamente la nostra identità e i nostri sistemi di senso. è invece, se ci pensiamo bene, una delle attività più frequenti e centrali nella nostra vita. Al mattino facendo colazione, durante il giorno in ufficio o a scuola, alla sera mentre ceniamo, dopo cena (se non ci azzeriamo di fronte alla televisione) ci scambiamo decine e decine di narrazioni. In questo scambio con le narrazioni degli altri nostri amici, colleghi e parenti, costruiamo e ricostruiamo il senso del nostro presente, talvolta guardando al passato, talaltra al futuro. Il pensiero narrativo raramente produce una forma scritta e organizzata. Ma il fatto che per la maggior parte di noi il pensiero narrativo non sia né scritto né organizzato non vuol dire che esso sia meno importante o meno frequente. Esso corrisponde alla naturale inclinazione dell’essere umano a raccontare e raccontarsi. Questa inclinazione è sicuramente legata al benessere psicologico che questa attività genera. Ciò raggiunge livelli “organizzati” ad esempio nel caso della psicoterapia; ma senza arrivare a tanto, basta che si produca la forma scritta, ad esempio se decidi di tenere un diario.

martedì 8 luglio 2008

8 ETICA NELLE STORIE

Richard Rorty ha il pregio di parlare di temi continentali con un linguaggio da analitico. È uno dei pochi.
Secondo Rorty, le grandi idee filosofiche passano più attraverso la letteratura che attraverso i saggi di filosofia. Anzi, io direi più attraverso la narrazione, che oggi usa anche nuovi media.
La filosofia, quando vuole essere pratica, è per buona parte fatta di sentimenti: ad esempio la solidarietà e la simpatia con il resto dell’umanità, oppure la fiducia nel ragionamento e nel dialogo. Ebbene, è assai probabile che noi abbiamo imparato queste cose più da alcuni romanzi letti nell’infanzia che da saggi filosofici.
La cosa è convincete e coerente con le conclusioni cui ero già arrivato io. Un problema è il fatto che mi pare che Rorty (e io stesso) faccia più riferimento al romanzo ottocentesco che alla letteratura moderna. L’altro aspetto da aggiornare è, come dicevo, rappresentato dai nuovi media.
Forse, più che di romanzi occorrerebbe parlare di Chat e forum su internet, di Blog, o chissà di cos’altro.
Senza dimenticarsi il buon vecchio cinema. Nell’estate 2004 Umberto Eco è stato intervistato da Enrico Grezzi sui rapporti tra cinema e filosofia. Il risultato è un lungometraggio a camera fissa che dev’essere piuttosto noioso. Ma Repubblica ne ha fatto una recensione interessante il 4 luglio 2004. L’approccio è prevalentemente rivolto a come la filosofia può pensare il cinema (e dunque fondarlo). Ma c’è spazio anche per il contrario, più rortyano: come il cinema può fare filosofia.
L’articolista (Antonio Gnoli) naturalmente riconosce che ci sono autori tipicamente filosofici (Antonioni, Bergman, Rossellini, Godard, Wenders), ma dice di avere “l’impressione che la sola filosofia che il cinema possa realizzare sia quella involontaria”, citando piuttosto certe scene di Stan Laurel e Oliver Hardy, o di Buster Keaton, o di Hitchcock ( e perché non Chaplin?). “Come dire: la filosofia si posa dove meno te l’aspetti”. (La Repubblica 4 luglio 2004, pag 37).
La narrazione attraverso il romanzo continua comunque ad avere una sua importanza anche nel mondo attuale. Anzi, forse più che mai. Frederic Beigbeder, ragazzo terribile della letteratura francese, esce in questi giorni con un romanzo sugli ultimi attimi di vita di un padre e dei suoi due figli nel ristorante al centosettantesimo piano del World Trade Center l’ 11 settembre (Windows on the world, Bompiani). Nelle interviste sul libro, che sta scatenando feroci discussioni, lo scrittore si dice più che altro stupito del fatto che nessuno in questi due anni e mezzo abbia pensato di scrivere un romanzo sull’ 11 settembre prima di lui. E spiega su L’Espresso (n. 27 dell’ 8 luglio ’04, pag. 110): “Gli scrittori si sono tirati indietro per paura, o forse per rispetto (…) Perché non dovrei raccontare la storia più mostruoso e più spettacolare a cui abbia mai assisitito?” L’intervistatore suggerisce: “Forse perché la televisione ce l’ha già mostrata sotto tutte le angolature?”
Ecco la questione è proprio questa: il romanzo può arrivare là dove la televisione non arriva, può stare vicino all’angoscia di un uomo che muore, può essere infinitamente più realista proprio perché inventato. Può scendere nel corpo vivo delle idee e delle emozioni. Può alternare, come fa Frederic Beigbeder probabilmente imitando il modello ben noto di Kundera, le vicende dei protagonisti con le riflessioni dell’autore. E in effetti Kundera è veramente uno scrittore filosofico.