giovedì 18 dicembre 2008

29 qui-pro-quo

29 qui-pro-quo
Sto lavorando con un Greco scrivendoci email in inglese e mi accorgo di quanto i malintesi siano un rischio continuamente incombente.
Nella rete mondiale si parla prevalentemente inglese, ma i parlanti provengono da lingue diverse. Il rischio di malintesi derivanti da cattive traduzioni è elevato. Gli esperti conoscono bene questi rischi, e anche la portata talora devastante delle loro conseguenze. Spesso, all’origine di grandi disastri aerei ci sono gli equivoci tra torre di controllo e piloti causati dall’imperfetta padronanza dell’inglese (il caso forse più famoso è probabilmente il disastro di Tenerife i cui persero la vita quasi 600 persone- ved. http://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_di_Tenerife). Malintesi possono nascere e causare conseguenze anche tra due corrispondenti e-mail di madrelingua diversa che si scrivono in inglese.
Ci sono delle soluzioni o delle precauzioni? Certo, sapere bene l’inglese, ma anche adottare la ridondanza comunicativa, che consiste in molte cose. Una è quella di scrivere due volte il concetto con due frasi diverse. Oppure quella di scrivere il concenttto e poi spiegarlo con un esempio. In questi modi si ripete il pensiero con parole diverse e con un altro punto di vista, diminuendo il rischio di malintesi. Ad esempio, se scrivo al mio costruttore di casa in Grecia che voglio le persiane in alluminio di color grigio ferro, senza pensarci su troppo potrei scrivere: “I’d like aluminum dark iron grey shutters”. Non è ben chiaro se voglio delle persiane in alluminio o in ferro. Se me ne rendo conto, so che mi conviene scrivere per esteso la frase. Ma spesso non ci rendiamo conto della tortuosità e sinteticità delle nostre espressioni. Allora è importante adottare come metodo sistematico di lavoro la ridondanza, l’uso del “that is” o dell’ “i.e.” (cioè) dell “e.g.” (per esempio), oppure del concetto ripetuto in altra forma (“like ones you used in the Sivota house you bilded last year”)

1 commento:

  1. Il problema è più complesso di come tu l’hai posto. Nella proposizione 5.6.2. del Tractatus, Wittgenstein ci ricorda che ognuno ha il proprio mondo e che esso dipende dal linguaggio che egli ha imparato dai genitori. I confini e i limiti del linguaggio (del solo linguaggio che io veramente comprendo, che è quello della mia lingua madre) sono i confini e limiti del mio mondo.
    Didimo

    RispondiElimina