sabato 25 ottobre 2008

15 Come la mettiamo?

Allora, come risolvere il dilemma del post numero 14?
Parliamo per una volta degli osservatori e non dell’osservato. Come fanno questi osservatori a denunciare la connessione tra impoverimento del linguaggio e totalitariamo? Come fanno ad avere quel punto di vista esterno che permette loro di non essere vittime essi stessi dell’impoverimento?
Io penso che non si tratti dello straordinario o fortunoso fatto che essi si sono salvati dall’impoverimento nel linguaggio che usano. Questo è, ma non basta. Questo è, ma non è la causa, bensì l’effetto di qualcos’altro. Penso che questi osservatori abbiano una capacità critica perché non soccombono alla dinamica stessa che affermano, ovvero al fatto che il linguaggio genera la realtà. Essi sono la dimostrazione che non sempre e non completamente il linguaggio genera la realtà. In qualche modo, essi hanno mantenuto almeno un piede su un terreno fatto non di parole, ma di valori, di affetti, di scetticismo, di ricerca, di relazioni. Nel loro caso, è la realtà che genera il linguaggio. Quale realtà? La realtà morale.
Questa mia tesi può generare una prospettiva di risposta per le reti che si creano su Internet. È vero che il linguaggio si impoverisce, ma è anche vero che le reti possono fondare l’etica. Noi abbiamo dei valori non tanto perché abbiamo letto l’Etica Nicomachea di Aristotele, ma piuttosto perché abbiamo imparato ad amare, abbiamo discusso con gli amici in mille notti, ci siamo indignati e abbiamo partecipato a una raccolta di firme, abbiamo avuto paura e ottenuto conforto da chi dialogava con noi, abbiamo avuto speranza e dato conforto a chi dialogava con noi.

martedì 21 ottobre 2008

7 bis IO E RETE

Raccolgo con grande piacere la critica del commento al post numero 7.
Il dibattito è aperto. È vero: passiamo troppo tempo della nostra vita fuori da noi stessi. Le reti possono fare parte di questo problema. Se c’è qualche punto fermo, qualche baricentro, è sicuramente l’introspezione e la ricerca di una risposta alle domande: chi sono io, veramente? chi voglio essere? chi posso essere? Ma è anche vero che l’io cresce e si struttura nella relazione con gli altri.

lunedì 20 ottobre 2008

14 Povero linguaggio

Da almeno un secolo oramai la filosofia ha messo il linguaggio a crocevia delle dinamiche del mondo. Ma già Aristotele aveva chiarito che l’uomo è un animale sociale perché sa parlare. E ora più che mai la nostra comprensione della realtà, la nostra azione su di essa dipendono dalle parole che abbiamo. Il linguaggio genera la realtà-
Una forma di questa riflessione riguarda il totalitarismo e la manipolazione (in genere semplificatoria) del linguaggio. Con Orwell abbiamo avuto la più celebre denuncia del fatto che l’impoverimento della lingua fonda il totalitarismo. Orwell scriveva nel 1948. Da allora l’impoverimento è continuato. I totalitarismi sono stati combattuti, sconfitti, spesso sono ricomparsi. A volte sotto forme più subdole. A esempio, oggi molti osservatori ci mettono in guardia dalla situazione che si sta creando in Italia, dove il linguaggio politico è enormemente impoverito, arretrato, rappreso in slogan e moduli semplici e ripetitivi (si veda ad es. AAVV Forme contemporanee di totalitarismo, Bollati Boringhieri).
Il linguaggio di Internet (e ancora più quello dei telefonini) si sta ulteriormente impoverendo: è il segno di una deriva autoritaria mondiale? Eppure Internet è il veicolo più forte di diffusione di democrazia. I governi antidemocratici lo sanno benissimo e ne limitano la diffusione.

lunedì 13 ottobre 2008

13 Cofferati

La settimana scorsa il Sindaco di Bologna, Cofferati, ha dichiarato che non si ricandiderà. I giornali di destra hanno innaffiato la notizia di ironia e dietrologie sulla paura di perdere. L’Unità e Repubblica hanno scritto bellissime pagine sulla capacità di scegliere i valori e sull’inumanità del potere.
Nel mio piccolo, 11 anni fa, ho fatto qualcosa del genere. Se puoi permettertelo, la scelta non è drastica (cara, sto a casa io o stai a casa tu?). si tratta solo di diminuire gli impegni, di ritagliarsi (anzi, definire con chiarezza) gli spazi e i ruoli. L’ho fatto nei primi anni di vita di mio figlio e in cambio ho avuto moltissimo. Direi che è stato il periodo migliore della mia vita. Quelle mezz’ore infinite sotto il sole di maggio fuori dalla scuola materna a vederlo giocare con i suoi amichetti. Vedo e sento il sole che scalda i vestiti ancora invernali.
Anche questa è una base delle infinite forme di capitale umano. Saper metter i valori in una gerarchia scelta da me e non impostami dai processi o dalla retorica delle organizzazioni, non abbagliata dal desiderio del successo.
Ma, come dicevo, bisogna anche poterselo permettere. Se fai parte di un’organizzazione grande e strutturata, se sei un lavoratore dipendente, è difficile. Ho visto dei telelavoratori in AEM (poi Iride). Hanno fatto una scelta simile alla mia e una buona Direzione del personale gliela lasciata fare. Ma sono pochi. Sono poche le aziende. E rimane il dubbio che la loro carriera lì finisca.